Carceri, la politica assente

Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno fatto emergere in tutta la loro crudezza il problema secolare del sistema carcerario italiano. I media ne hanno parlato e la politica ha affrontato il problema confondendolo con il tifo calcistico degli europei, schierandosi tra picchiati e picchiatori, nel modo ideale per lasciare le cose come stanno. Non si tratta di dividersi tra buonisti e non, ma essere convinti che chi sbaglia deve pagare i propri debiti con la giustizia in un ambiente che tenda alla rieducazione del condannato, allo scopo di stroncare, alla fine della detenzione, i casi di recidiva, che ancora oggi hanno una percentuale molto elevata.

La polizia penitenziaria svolge un lavoro difficile, mal retribuito e sotto organico in un contesto di frustrazione, che può degenerare in violenza, che non può mai essere giustificata. Tuttavia il malessere endemico nelle carceri è causato quasi sempre da una una cronica mancanza di progetti strutturati di riabilitazione.

Puntare sulla promozione di corsi di formazione professionale per i detenuti allenterebbe le tensioni interne, creando i presupposti per la rieducazione delle persone che, una volta uscite dal carcere, sarebbero più incentivate a trovare un lavoro, evitando derive di illegalità, il cui impatto sociale interessa ognuno di noi.

Se nel carcere di Biella si avviasse un corso triennale alberghiero con attestato finale, ci sarebbero tantissime iscrizioni e, visto che i camerieri di questi tempi scarseggiano, sarebbe per loro un’ottima opportunità. La difficoltà non sono né i costi, né i formatori, bensì la mancanza della formalizzazione dell’iniziativa da parte della Regione Piemonte che, semplicemente, dovrebbe autorizzare legalmente il ciclo di studi. Per ora evidentemente maggioranza e minoranza hanno altro di cui non occuparsi.

Vittorio Barazzotto